19 Dicembre 2021
Teatro Gian Maria Volonté di Velletri

Riccardo III (1592) è, con Tito Andronico, assai più del Macbeth, la tragedia più agghiacciante di William Shakespeare. L’opera affronta due temi eretti a somma concentrazione: l’assassinio e la morte. Per ogni attore, Riccardo è una sfida bella e difficile perché ne misura talento, potenzialità espressive, sublime gestualità, mimica facciale, visto che è il corpo, straziato,deforme,incompiuto del personaggio ad occupare nevroticamente e ossessivamente la scena. La prima assoluta dello spettacolo realizzato dalla Compagnia teatrale della Luce e dell’Ombra per la regia di Gennaro Duccilli (che ne è anche il magistrale interprete), in coproduzione con la Fondazione di partecipazione Arte & Cultura Città di Velletri,e col sostegno della Regione Lazio, si è tenuta a Velletri domenica 19 Dicembre 2021 al teatro Artemisio“Gian Maria Volonté”. Diciamo subito che la riscrittura di Duccilli, sorretta dalle bellissime musiche originali del maestro Claudio Maria Micheli, e attenta ai difficili transiti dalla parola allo spazio scenico, si discosta dai canoni standardizzati di una versione classica perché è straniante, spiazzante, rotolante nei dilemmi della contemporaneità (anche pandemica), nel caos inestricabile degli eventi drammatici che si succedono e nei coaguli irrisolti dell’esistenza umana. Già il prologo di questo Riccardo III è cupo e misterioso, vira negli interstizi della contaminazione dei registri espressivi. Buie atmosfere dominano minacciose squarciate da misteriosi scrosci di pioggia mentre si aprono neri ombrelli appaiati sulla scena: cos’è questo scroscio ininterrotto della pioggia? Non sono gocce, forse sono copiose lacrime per piangere i morti, diventati fantasmi, vittime di Riccardo o,piuttosto,un abbondante diluvio del male che a dismisura si accumula e si abbatte sul destino delle vicende umane e a conferma compare una bara senza coperchio che viene portata in spalla da servitori. Entrano alcuni personaggi del dramma che come in una veloce sequenza di un cinema muto si muovono senza voce con gestualità impeccabile. Viene consumato il primo delitto.

Nell’infuriare della sanguinosa guerra civile tra le due Rose nell’Inghilterra del XV secolo, Riccardo, duca di Gloucester, fratello di re Edoardo IV, feroce e assetato di potere, dispiega in progressione il suo piano malvagio per ottenere la corona di Inghilterra. Fa uccidere il fratello maggiore, duca di Clarence, corteggia e sposa Anna, vedova del principe di Galles. Raggiunto il suo scopo, fa uccidere i figli di Edoardo, ripudia Anna e progetta di sposare la nipote Elisabetta. Poi fa uccidere il cugino Buckingam (suo complice e confidente nei primi delitti) e, sfida le tre regine del dramma, Margherita, Anna, Elisabetta. Riccardo è incapace di trovare pace anche quando riesce a conquistare il trono e a disseminare il suo tragitto di cadaveri. Deforme e difforme (la gamba claudicante, il braccio malformato, la gobba), il corpo di Riccardo è un guasto della natura e il suo cuore un abisso senza fondo.
Gennaro Duccilli è un inquietante, inafferrabile Riccardo III che entra ed esce brechtianamente dal suo personaggio (con provata e consumata esperienza attoriale sempre ai bordi dell’estremo) restituendogli le doti di uno spregiudicato attore/artista del male:

Io faccio il male, e sono il primo
a deprecarlo, e sbraitar per esso;
carico il peso di tutti i misfatti
da me segretamente consumati
sulle spalle degli altri.

Questo Riccardo III nella riscrittura di Duccilli è un artista che crea distruggendo e mostrando che la vita tolta agli altri è solo portare a compimento un processo di distruzione di ciò che agli inizi appare perfetto.
C’è, infatti, un passaggio cruciale nel dialogo tra Riccardo e la duchessa di York (sua madre, anche di Clarence e del re Edoardo IV) da cui si evince che è lei, la madre che lo ha partorito, l’origine del male a suggerire un’ulteriore chiave di lettura del personaggio: cioè la sua infantilizzazione che è resa visibile con i nevrotici andirivieni presso una specie di jukebox che emette canzonette e sparge popcorn, quasi come se l’interprete volesse estrarre dal corpo di Riccardo una particella di oscura innocenza affinché la sua deformità finisca con l’essere risucchiata o inghiottita nel grembo materno. Per esistere Riccardo deve ritornare nel ventre materno.

La macchina scenica disegnata e realizzata dal maestro Sergio Gotti è funzionale al tema della tragedia shakespeariana che è la prigione, massima figurazione simbolica dell’esistenza umana. Vittime e carnefici, come su una scacchiera a piani, si muovono lungo una complessa impalcatura in legno simile ad un montaggio, ad un’annodatura di dinamici pezzi con entrate ed uscite, piani alti e piani bassi, interni ed esterni che raffigurano vari ambienti tra loro interagenti: la torre, il castello, la prigione, le sale, il campo di battaglia. Ma il cuore nero di questa scenografia è il trono quasi sempre vuoto per l’intero arco della rappresentazione: una volta conquistato il potere, Riccardo lo occupa solo per pochi minuti e mentre è seduto, quel trono sembra trasformarsi in una sedia elettrica. Il potere è uno spettro, un fantasma come lo sono i morti, assassinati di Riccardo che nel frattempo ha cambiato mantello, da quello nero bacato delle prime sequenze delittuose al rosso denso, una volta incoronato re. In questa scena si innesta una potente nota di regia che non può sfuggire allo spettatore attento: si tratta di un canto gregoriano appena abbozzato capace di inglobare il senso dell’intera messa in scena: la bellezza si coniuga irreversibilmente con il terribile, la creazione con la distruzione.
Bravi tutti gli attori,sia quelli di comprovata esperienza (Paolo Ricchi,Maurizio Caste’,Fabrizio Rinaldi,Giordano Luci)sia i giovani attori della neonata Residenza Artistica Teatrale.Ma sono soprattutto le interpreti femminili ad immergersi col corpo e con un variegato groviglio di emozioni nella vicenda. Ariela La Stella è una vibrante regina Elisabetta che fa della sua angoscia di madre l’arteria e la vena del suo sentire mentre Maria Angelica Duccilli è una rassegnata e convincente Lady Anna (a cui Riccardo ha ucciso marito e suocero), che dà al suo personaggio un approccio metodico capace di congelare il suo dolore e la sua lenta morte in una sfera di sospensione, e/o di astrazione. Simona Sanzò è una severa e disincantata duchessa di York, Priscilla Menin è la regina Margherita che sa contenere con lo sguardo e con la voce il male del duca di Gloucester,Silvia Cavaliere, la giovane e innocente Elisabetta che con le fattezze di una danzatrice si muove sulla scena caotica del mondo senza profferire parole ed infine Antonella Sciotti,che apre e chiude lo spettacolo,nelle vesti di una enigmatica Donna/Polena.
Da sottolineare,inoltre, l’importante contributo allo spettacolo del disegnatore luci Antonio Accardo e dell’ audio designer Giulio Duccilli.
Infine, c’è un altro motivo per andare a vedere questo Riccardo III, peraltro applauditissimo dal pubblico in standing ovation: Gennaro Duccilli innerva in questo impegnativo allestimento una pratica laboratoriale della RAT(Residenza Artistica Teatrale), fortemente voluta dal Direttore Artistico della Fondarc M°Claudio Maria Micheli, costruita sul confronto diretto, tangibile, visibile tra generazioni di attori, un serrato esperimento che vede all’opera attori di grande esperienza con giovani talenti che aspirano con entusiasmo e determinazione ad occupare le scena. A dire il vero, è una pratica non molto diffusa e sentita nel teatro italiano che invece dovrebbe incoraggiarla con costanza e convinzione.

Aldo Meccariello

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